Differenze tra prodotti congelati e prodotti surgelati
à fondamentale distinguere le due tipologie commerciali, nonostante l’aspetto comune rappresentato dalla temperatura non superiore a –18°C che deve essere raggiunta per il surgelato “in tutti i suoi punti” e per il congelato “al centro”: condizioni sostanzialmente identiche, dato che il centro è il punto più sfavorevole. Le differenze fondamentali sono una di ordine tecnologico, l’altra di carattere commerciale.
Dal punto di vista tecnologico, mentre nella semplice congelazione la cristallizzazione dell’acqua avviene lentamente, nella surgelazione, secondo la definizione di cui sopra, la cristallizzazione massima deve essere superata con la rapidità necessaria, in funzione della natura del prodotto.
La maggior rapidità di cristallizzazione dell’acqua libera comporterà la formazione nel prodotto surgelato di molti microcristalli di ghiaccio, con una sostanziale salvaguardia dell’integrità delle membrane cellulari che si esprime, all’atto dello scongelamento, con caratteri organolettici (aspetto, consistenza) e nutrizionali più simili a quelli del prodotto fresco.
Nel prodotto sottoposto ad una congelazione lenta si ha invece la formazione di macrocristalli. Dato che il congelamento inizia dall’acqua extracellulare, con graduale aumento (via via che si formano i cristalli d’acqua pura) della concentrazione del fluido e della forza ionica in questa zona, si ha un passaggio d’acqua dall’interno (dove ora c’è una minor concentrazione) all’esterno della membrana cellulare: acqua che gradualmente congela sui cristalli di ghiaccio già formati, ingrossandoli. La forza ionica in aumento causa la denaturazione di alcune proteine. I macrocristalli sono in grado di deformare e lacerare le membrane cellulari, con la conseguenza che al momento dello scongelamento si avranno una maggior perdita di succhi cellulari ed enzimi, una ridotta capacità da parte della cellula muscolare di riassorbire l’acqua persa durante il congelamento e quindi, a livello di caratteri organolettici e merceologici, una diminuzione della consistenza del prodotto e una perdita di peso.
Dal punto di vista commerciale, la differenza fondamentale è da ricercare nelle modalità di vendita. Infatti, la vendita dell’alimento surgelato destinato al consumatore deve avvenire “in confezioni originali chiuse dal fabbricante o dal confezionatore preparate con materiale idoneo a proteggere il prodotto dalle contaminazioni microbiche o d’altro genere e dalla disidratazione” (art. 7 del DLgs n. 110/1992), mentre il prodotto semplicemente congelato può essere venduto anche allo stato sfuso. Come si vedrà , questo aspetto comporta differenze sostanziali nell’etichettatura.
L’eventuale vendita di prodotti surgelati allo stato sfuso comporterebbe certamente la perdita della qualifica di “surgelato”: il prodotto potrebbe essere presentato come “congelato”. Tale pratica, tuttavia, è irrilevante da un punto di vista commerciale, poiché antieconomica a causa della perdita di valore.
Le fasi della produzione e della conservazione dei “surgelati”
Per quanto riguarda i prodotti surgelati, si distinguono quattro fasi operative principali. La normativa originaria, costituita dalla Legge n. 32/1968 (di carattere commerciale), è stata in parte sostituita ed integrata dal DLgs n. 110/1992 (attuazione della direttiva n. 89/108/CEE), con più spiccati aspetti sanitari, e successivamente dal DM n. 493/1995, che ha abrogato i Decreti emanati il 15/06/1971 dal Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato di concerto con quello della Sanità . Per gli aspetti igienici e autorizzativi, i requisiti strutturali, il controllo e l’autocontrollo occorre oggi fare riferimento, trattandosi di prodotti della pesca, alla normativa comunitaria di settore (a tal proposito, il DLgs n. 531/1992 viene superato, a far data dal 1° gennaio 2006, dall’applicazione della nuova regolamentazione CE ed, in particolare, del Regolamento n. 853/2004 già citato, a causa dell’abrogazione della direttiva 91/493/CEE, da esso recepita, operata dalla direttiva 2004/41/CE).
Operazioni preliminari o preparazione
“Le materie prime destinate alla produzione di prodotti surgelati devono essere sane, in buone condizioni igieniche, di adeguata qualità merceologica e devono avere il necessario grado di freschezza” (art. 3 del DLgs n. 110/1992); i prodotti ittici, a seconda della tipologia, vengono puliti, eviscerati, depinnnati, decaudati, sfilettati, affettati, ecc…, e se necessario assemblati ad altri ingredienti e cucinati. à la fase più delicata dal punto di vista igienico per il pericolo di contaminazione (dovuta a fattori umani e ambientali), dato che la successiva surgelazione non uccide una gran parte dei microrganismi ma li inattiva solo temporaneamente. Agli alimenti surgelati composti possono essere aggiunti additivi, compresi gli antiossidanti e ad esclusione dei conservanti; le quantità massime degli stessi sono quelle stabilite per i corrispondenti prodotti non surgelati nel DM n. 209/1996 (emanato ai sensi della Legge n. 283/1962).
Confezionamento
I prodotti devono essere confezionati negli involucri in cui resteranno fino alla vendita al consumatore. Il confezionamento, secondo i casi, può precedere o seguire la surgelazione, purché le due operazioni siano tra loro strettamente connesse nel tempo. La confezione originale deve essere di “materiale idoneo a proteggere il prodotto dalle contaminazioni microbiche o d’altro genere e dalla disidratazione” (art. 7 del DLgs n. 110/1992).
Surgelazione
Perché si possa parlare di surgelazione, deve essere effettuata almeno una congelazione rapida, che segue una preventiva refrigerazione a temperature prossime agli 0°C. La durata effettiva del congelamento (vale a dire il tempo necessario per raffreddare l’alimento dalla sua temperatura iniziale all’atto dell’introduzione nell’apparecchio congelatore a quella di ultimazione del processo, minore o uguale a –18°C secondo le intrinseche necessità del prodotto da surgelare) non doveva essere, secondo il DM 15/06/1971, superiore alle quattro ore.
Dopo l’abrogazione del decreto operata dal DM n. 493/1995 non sussiste più tale vincolo, ma la velocità di surgelazione è definita dai produttori, sulla base di prove e studi compiuti da enti ed istituti di ricerca, in base alle caratteristiche ed alle dimensioni dei pezzi da trattare. Si parla ormai di tempi di surgelazione molto brevi, in qualche caso addirittura inferiori ai 30 minuti. Temperature più basse consentono di surgelare prodotti di maggiori dimensioni e di completare la cristallizzazione in un tempo minore, garantendo una migliore qualità dei prodotti (surgelazione ultrarapida).
Le apparecchiature più utilizzate sono i tunnel (surgelazione in linea), all’interno dei quali i prodotti vengono inseriti mediante carrelli o nastri trasportatori, e gli armadi o celle (surgelazione discontinua).
I “mezzi criogeni”, che possono essere utilizzati per contatto diretto con gli alimenti, sono l’aria, l’azoto e l’anidride carbonica (art. 5 del DLgs n. 110/1992): gli ultimi due, utilizzati allo stato liquido mediante nebulizzazione, a contatto con l’alimento evaporano e sottraggono rapidamente calore, senza lasciare alcun residuo che possa alterare le caratteristiche organolettiche del prodotto. I punti di ebollizione (passaggio da stato liquido a gassoso) sono per l’azoto –195,8°C, per l’anidride carbonica –78,9°C. La rapidità del trattamento termico praticato con questi mezzi riduce il rischio di disidratazione del prodotto, soprattutto con il sistema di surgelazione mediante immersione in azoto liquido.
Conservazione a temperatura controllata
Durante tutta la vita del prodotto, dall’uscita dall’apparecchiatura surgelante alla vendita al consumatore, questo deve essere mantenuto “in tutti i punti” ad una temperatura che non superi i –18°C (rispetto della catena del freddo). Sono consentite solamente brevi fluttuazioni verso l’alto non superiori a 3°C, sia nella fase di trasporto che in quella di vendita (armadi e banchi frigoriferi per la vendita al consumatore). Pertanto, i termometri non devono mai rilevare temperature superiori a –15°C, che comunque sono tollerate solo per brevi periodi (art. 4 del DLgs n. 110/1992).
La fase è molto critica e deve essere gestita seguendo le necessarie buone pratiche, non solo con adeguate apparecchiature refrigeranti e termometri di controllo, ma anche evitando assolutamente lo stazionamento a temperatura ambiente durante le operazioni di carico e scarico e la permanenza di prodotti surgelati oltre la linea di massimo carico dei banchi frigoriferi. Eventuali scongelamenti, anche parziali e superficiali, comportano la disidratazione dovuta alla perdita d’acqua e la formazione, con la ricristallizzazione conseguente ad un nuovo congelamento, di macrocristalli in grado di causare gli inconvenienti già segnalati per i normali congelati. Ma avviene anche la ripresa dell’attività dei microrganismi presenti e precedentemente “bloccati” dal freddo, con la loro moltiplicazione e quindi con un aumento delle cariche batteriche, che può provocare deterioramento del prodotto. La situazione di rischio si fa ovviamente più grave se a moltiplicarsi sono dei microrganismi patogeni.
I mezzi di trasporto adibiti alla distribuzione locale (trasporto da un deposito ad un punto vendita o al consumatore, portata utile non superiore a 7 tonnellate) devono essere muniti di termometro visibile all’esterno che misuri la temperature dell’aria interna; quelli non adibiti alla distribuzione locale devono essere muniti, invece, di registratori automatici della temperatura, che effettuino misurazioni dell’aria interna regolarmente ogni 20 minuti; tali registrazioni devono essere datate e conservate dai destinatari per almeno un anno (articoli 1 e 2 del DM n. 493/1995). I banchi di vendita devono essere dotati di termometri facilmente visibili installati sul frontale. Tali banchi devono essere chiusi, o da chiudere con adeguati dispositivi nelle ore di inattività dell’esercizio commerciale, in caso di disservizio delle apparecchiature stesse o di interruzione dell’erogazione dell’energia elettrica. I prodotti posti nei banchi aperti non devono superare mai la linea di massimo carico, la quale deve essere obbligatoriamente indicata all’interno (art. 3 del DM n. 493/1995).
Le fasi della produzione dei congelati
Nella produzione di alimenti congelati le fasi operative sono in parte le stesse già viste per i surgelati, fatta eccezione per il confezionamento, che non è obbligatorio (anche se esistono prodotti ittici congelati e dichiarati come tali in confezioni originali destinate al consumatore) ed è generalmente sostituito da un imballaggio di grandi dimensioni, destinato ad essere aperto per la vendita sfusa. Inoltre, come già visto, le modalità di congelazione sono diverse, sotto l’aspetto tecnologico, rispetto a quelle di surgelazione, con una minor rapidità (diverse ore, fino ad alcuni giorni) dovuta all’impiego di temperature più alte.
Per quanto riguarda le prescrizioni relative alla conservazione, nei locali di magazzinaggio deve essere mantenuta, anche per i congelati, la temperatura di –18°C, con impianti frigoriferi dotati di termografo leggibile e archiviazione delle registrazioni almeno per la durata di conservazione del prodotto (Cap. IV dell’Allegato al DLgs n. 531/1992). Anche per la fase di trasporto viene stabilito il valore termico di –18°C con eventuali brevi fluttuazioni verso l’alto di 3° al massimo (Cap. VIII dello stresso Allegato). Si noti che tale valore e la relativa tolleranza, ora confermati dal Regolamento (CE) n. 853/2004, erano già previsti, prima dell’avvento della normativa di derivazione comunitaria, dalla norma nazionale italiana (DPR n. 327/1980, Allegato C, Parte I), per i prodotti della pesca tanto congelati quanto surgelati.
Il congelamento avviene per mezzo dell’aria, o meglio mediante aria forzata in tunnel (corrente d’aria fredda); è molto efficace e più rapido il congelamento per contatto, effettuato utilizzando piastre raffreddanti che vengono pressate sui prodotti, preferibilmente preconfezionati o avvolti in involucro protettivo, purché questi abbiano spessore regolare e ampie superfici di scambio termico (ad esempio, prodotti affettati o predisposti in masse di spessore ridotto e regolare).